Uscita autunnale 2022 Mogno, Val Lavizzara

Gita della Sesi alla colonia fondata da don Giovanni Guggia (1929-1953), costruzione rudimentale dapprima, evoluta dappoi perché passata di mano dalla parrocchia di Pazzalino (Pregassona) al ben più prospero comune di Ascona, resa agibile a centinaia di ragazze/i come scuola montana e come mini-stazione di sci: 80 m di piste!
Ecco che sabato 10 settembre una dozzina di sesini partono sparati su 4 autovetture private, destinazione Fusio. Cristina si porta appresso 2 dei suoi 3 figlioli. Ci fermiamo a Maggia un minuto per colazionare. Quasi al termine della Val Lavizzara la strada sale di brutto. Infine voilà Mognò! Visita lampo alla colonia, irriconoscibile per chi l’ha vista negli anni ’50 quand’era un piccolo edificio rudimentale e ora con una grande ala moderna. Comunque la parte originale è stata conservata (all’esterno) e rimessa a nuovo all’interno. Ci sistemiamo un attimo nelle camere che non sono i dormitori collettivi che temeva Huguette. Viene una custode a mostrarci le cucine automatizzate, anzi industrializzate, indispensabili a preparare i pasti per centinaia di allieve/i. Solo Dominique e Claudia sembrano capire gli arcani di questi aggeggi con un pacco di bottoni colorati Scopriremo in seguito che il forno principale si incanta. Poco più su, sempre in quel di Mogno, i Sesini osservano una doverosa sosta devota alla chiesa circolare di San Giovanni Battista in granito e marmo di Peccia (con il tetto circolare obliquo e trasparente); il significato di questo capolavoro bottesco - situato dove sorgeva l’omonima chiesina distrutta da una luina nel 1636 - è quello di “evitare l’obblio”. L’esigente piano presidenziale della gita ci sprona a salire e oltrepassare le rive che costeggiano il lago artificiale del Sambuco e arrivare fino a un incantevole lago naturale. Sarebbe il posto più adatto per arrestarci e picnic-are, ma la maggioranza silenziosa acconsente che si prosegua. Giungiamo al lago Naret dove le auto non possono più continuare. Il Naret è un serbatoio d’acqua alimentato da due importanti affluenti e ritenuto da due altissime dighe. È l’ora del picnic. A norma di legge, non ci si può nemmeno rosolare un cerverlat. Si spera di rifarsi con la cena vegana prevista in serata. Ritorniamo alla colonia; il ritorno sembra molto più corto dell’andata. Frattanto ci raggiunge e ci aiuta in cucina la primogenita di Cristina. Alcuni si fanno la loro brava pennichella, altri - in cucina - principiano a infarinare, impastare senza glutine! pesare, condire, oliare, speziare, friggere senza burro! bollire, infornare niente carne, né uova! ordina Chiara, animatrice simpatica e divertente di queste anime sperdute. Finalmente ci sediamo a gustare questa novità misteriosa vivanda. E uno smack e un applauso a Chiara non glieli leva nessuno. Stanchi, ma felici ce ne andiamo a dormire, tranne Cristina e i suoi figli che se ne tornano definitivamente a Minusio…   
Domenica 11, colazione alle 8, pulizie alle 9. A padelle, bicchieri, stoviglie, posate eccetera di ieri sera ci ha già pensato l’infaticabile Dominique. Resta poco da sciacquare. Alle 10 si discute sul da farsi: Claudia, Roberto saliranno fino a Fusio con la comoda auto di Dominique e verranno subito all’incontro dei cinque coraggiosi che staranno ancora percorrendo faticosamente con il cavallo di San Francesco il sentiero nel bosco. Livia e Giovanni cantano a capella un repertorio collaudato nelle colonie: Sciurri sciurri, L’avvoltoio, E vola lu pavone, Marinella, Le scarpette colorate, La Cavergnesa eccetera. I tre che sono già a Fusio, ma al parziale ritorno sbagliano sentiero. Così a mezzogiorno ci troviamo in 8 assieme a Fusio. Il villaggio è una frazione di Lavizzara ed è un bel paesotto che le parecchie case di vacanza e l’aiuto della Pro Loco stanno rilanciando. Vaghiamo per le viuzze ammirando le costruzioni più antiche, e i poggioli caratteristici. Il tempo è splendido come ieri. Il vitto dell’osteria non soddisfa tutti, il vino invece sì, almeno quelli che lo bevono. Scendendo ci fermiamo all’atelier di scultura di Peccia che si rivela colmo di curiosità e di fascino. Quest’anno si possono ammirare in primo luogo l’opera in corso d’opera di uno scultore indiano su legno. Su uno scarto di questo artista inciampa Stefano - sbadato anche lui - che si ferisce leggermente alle mani e alla fronte, ma per fortuna non si frattura niente. Anni fa uno scultore ticinese (Pierino Selmoni vinse un concorso a Zugo sul tema “acqua e pietra”  con uno stratagemma (lo scherzo e arte sono vicini). A Peccia Selmoni scelse un parallelepipedo di roccia che stimò di un peso di 20 tonnellate, tagliò una lastra sottile 3 cm e “svuotò” il resto, vi incollò quindi sopra la lastra a mò di coperchio creando una camera d’aria che permise al masso di galleggiare. A Zugo vinse e stupì il pubblico, esibendosi in una performance sulla sua opera granitica a mo’ di zattera sulle acque del lago locale tenendosi in equilibrio con un cavo infilato nei quattro anelli fissati alle estremità dell’opera e dimostrando così in modo truffaldino la validità del principio di Archimede. Il trucco c’era, ma nessuno lo vide. La pietra vincitrice fa tuttora bella mostra di sé davanti al laboratorio di scultura. La guida ci informa che un concorso è aperto ogni anno a Peccia. Vi partecipano 150 scultori scelti da una giuria internazionale. I 5 artisti selezionati sono ospitati a Peccia, per un anno ricevono un congruo stipendio e gli vengono messi a disposizione materiali e laboratori. Alla fine del concorso sono tenuti a lasciare a Peccia una loro opera.
A Giubiasco invece i Sesini sono tenuti a portarsi a casa una porzione di cena vegana.