Berlino 2011

Berlin: Gay pride and SeSi

Levataccia. Malpensa. Appello. Presenti Daniele (sergente), Rosmarie (caporale); Livia- Stefano, Marilla-Sergio, Susanna-Roberto, Giusy-Angelo, Paola-Ivo, Elodie, Michele, Shun-li e Giovanni. Attesa, lunga attesa. Volo. Atterraggio perfetto. Alexanderplatz. Ci siamo: Etap Hotel, né brütt né bèll. Usciamo a sgranchirci le gambe. Riferimento per tutti sarà la Fernsehturm su cui saliamo il pomeriggio. Di lassù si misura e si ammira la Grande Berlino, si mangia, si beve, si gustano dolci deliziosi  e tutto gira.

Michele e Shun-li, buon conoscitore di Berlino, fanno coppia a sé durante quasi tutto il soggiorno. Per gli altri, suona periodicamente il ritornello di Rosmarie: “Chi vuol riposare, può rientrare all’hotel con me; con Daniele va chi sa di poter continuare”. Discreta, si unisce a noi la romanda Laurence. Per strada il “plotone” è spesso tirato da Daniele, Rosmarie e Livia-piè-veloce. Gli altri a ruota. Stefano, a corto di allenamento, fa l’elastico. Giusy arranca, ma Angelo va a recuperarla. Roberto parla del tempo che ha fatto, che fa e che farà. Un perfido spiffera all’orecchio di Susanna: “Alle reden vom Wetter, wir nicht“.  (Marx a Engels)


Prima di cena, Rosmarie  si innamora di una gonna rococò. Siamo appena seduti al DDR in riva alla Sprea, quando ci sfilano davanti péniche stracolme di marjorette impazzite e multicolorate. Manifesteranno per tutta la fine settimana il loro strepitante orgoglio gay. Ci sbracciamo per salutarle/li, applaudiamo e, alla fine della fiera, torniamo a brindare - nei lieti calici di birra - ai cinquantanove anni che Sergio ha compiuto, compie o compirà presto.  Prosit!

I tre gruppi, uno guidato dal neo-appuntato Ivo, avanzano, si perdono, si ritrovano, salgono e scendono dai tram dai bus e dalla metropolitana, per visitare musei (Altes e Neues Museum, Alte e Neue National Galerie, Bode Museum, Checkpoint Charlie), chiese (Berliner Dom), teatri (Schauspielhaus o Konzerthaus), la Porta di Brandeburgo, ma anche l’Acquario, i Quartier 205 e 206, le Galerie Lafayette, la Gendarmenmarkt  ecc. Non il Reichstadt con la sua bellissima cupola (in alta stagione bisogna riservare tre giorni prima). Impressionante è la Potsdamerplatz con le sue avveniristiche costruzioni in vetro e acciaio. Vi ceniamo proprio stasera al Sony Center dove Ivo festeggia i suoi primi cinquant’anni anni e paga da bere a tutti. Guai a chi s’intromette! In inglese si direbbe Grump’s pride (l’orgoglio di Brontolo). Fabbro avvisato, mezzo salvato.


Shopping mattiniero. Pomeriggio organizzato. La barca se ne va senza Roberto e Susanna (beati loro!) che – pare - si siano persi nel traffico. Siamo sottocoperta, peccato! Sarà l’afa, sarà il beccheggio, sarà il rollio, ma la sfilza di meraviglie sugli argini non può impedire che, anche prima di metà crociera, qualche palpebra non regga. Sbarchiamo. Il ritorno all’Etap è una corsa d’orientamento: un gruppo di atleti pigri aspetta un tassì che non passa. Si incammina per un sentiero che sbuca in un… new gay pride ! È una metafora continuata di quello già visto ieri: i carri (zeppi di marjorette)  sono i battelli; le birre spumanti sono la Sprea; le file di giovani fan entusiasti, i suoi argini monumentali. Un delirio contagioso! Marilla è quella di vent’anni fa: canta, segue e ancheggia; Paola ed io corriamo e scattiamo; Elodie scatta anche lei, pur senza condividere: le sue saranno foto bellissime, ci scommetto. Chissà se Ivo è con noi? “La gioventù non torna più“, mi lascio commuovere. Alla porta di Brandeburgo ci si incontra con altri “sesini” un po’ più spersi di noi e che non sanno che cosa si sono appena… persi. “Könnst du, bitte, in Mollstasse uns zu bringen?” chiediamo in quattro a un ciclo-tassista. “Nur eine Minute, un minuto ke kiamo amiko”. Fissiamo il prezzo e via. Ma che bell’è andar sulle carrozzelle… e loro due a pigiar sulle pedivelle. Durante il tragitto, il nostro pedalatore - un prestante “puledro” dalla lunga coda bionda – ci fa gentilmente da guida turistica. All’arrivo, la foto-ricordo con Elodie: ma il tuo bel “cristo” trecciato, chi se lo scorda? A Paola e Marilla, invece, è toccato un “brocco”, un brutto “barabba” che alla fine se ne va via arcigno con il suo biroccio svirgolato. L’altro gruppetto voleva fare un giretto con il mitico Segeway. Non avendo trovato dove noleggiarlo, per tornare in albergo si sono fatti una salutifera passeggiata. L’ultima cena è al ristorante greco. Problema, come arrivarci: è stato disposto un servizio di sicurezza (per proteggere il gay pride) che ci fa percorrere km supplementari di tassì. Infine eccoci giunti: troviamo un ripieno di commensali in due tanto fragorosi quanto minuscoli locali. Appena seduti, gli ellenici ci portano a raffica dodici portate, tutte squisite (tranne l‘ultima): tzaziki, foglie di vigna, insalata greca, polpettine, polipetti, granchietti, gamberetti, melanzane fritte, calamaretti ripieni, ecc. il tutto accompagnato da caraffe di buona rezina della casa. Fino all’uso e al caffè turco. Niente mussaka. Al solito, Daniele tiene banco e non la smette mai. Neanche la notte, quando sega alberi secolari.

Puntiamo al centro. Dopo le statue, i timpani, gli archi, i mosaici, le colonne, i portali dell’incontournable Pergamon-Museum, attraversiamo un interminabile mercato delle pulci: Susanna-occhio-di-falco adocchia un antico orecchino di ambra o d’argento e se lo fa regalare dal buon Roberto. Un toast da Rocco e risaliamo alle origini di Berlino: un borgo che sorgeva qui dove siamo, attorno alla Nikolaikirche, dal tetto a due guglie. Di quell’antico edificio rimane solo la facciata di sasso. Laurence ci saluta. Con una marcia forzata rientriamo all’Etap e, lavorando di gomito, saliamo sullo stracolmo autobus dell’aeroporto. Attesa, lunga attesa. Infine voliamo sull’ineffabile tramonto di un’accogliente Padania. “Il cielo di Lombardia così bello quand’è bello” ha già scritto tal Sandro (oltre cent’anni fa) guardando all’insù.