Turgovia 16 - 19 giugno 2022

Il 16 partiamo per il Canton Turgovia con un pulmino munito di rimorchio e una berlina di scorta. Saremo 14-15 o giù di lì. Alla guida del pulmino l’emerito presidente Daniele con come copilota Ritina.  Manca Cristina (e si sente!), bloccata da un covid lungo come la fame. Pora stela!  Solite facce più un’intrusa: alta, nasetto alla Cohen, abitante anche lei nel Locarnese dove Diana ha seminato molto. Attraversiamo la Mesolcina fino a Bernardino, giù nella valle del Reno anteriore o posteriore e in un boff siamo a Arbon, sulle rive del Lago Bodanico. Ci intrufoliamo nei suoi vicoli e scopriamo una fabbrica di succo di mele Momö, con torchi d’epoca fino a quelli più recenti. Chi dice di no a una degustazione di Apfelsaft analcolico? Ottimo quello bio.
A Weinfelden reperiamo il nostro albergo,  in una saletta a noi riservata l’intrusa svela la sua identità: “Di nome faccio Anthonia, sono locarnese, insegno, ma sono anche maga o strega.” E ci fa eseguire i primi esercizi di rilassamento. Ha un modo suo di fare suadente e ubbidiamo volentieri ai suoi ordini. “Inspiriamo! Occhi chiusi, su, su, su con le braccia, palmo contro palmo. E espiriamo! una mano divaricata sulle clavicole e una sulla pancia. Su, su un’altra volta!” Segue cena deliziosa. La notte è afosa, non soffia un refolo di vento e si odono traffico stradale e treni che arrivano e partono sotto le nostre finestre.
Il mattino del 17 entriamo in una fabbrica dai macchinari imponenti e automatizzati che lavora la stessa materia prima della Momö, le mele; ne fa però sottili ciambelle essiccate e dadini. A pochi passi c’è il negozietto originario e originale del papà dell’attuale gerente della fabbrica. A mezzogiorno è previsto un déjeuner sur l’herbe in un agriturismo con tanto di oche. Il luogo è incantevole, il tempo pure. “Il vitto abbonda di insalate, ma scarseggia di salcicce che sono tipiche della zona”.
Appena fatto il chilo, riecco Anthonia. Ci fa sdraiare comodi comodi sul prato e ci invita a chiudere gli occhi, a meditare su quel che vogliamo, ad ascoltare le voci di dentro, a immaginare flussi di energia entrare in noi e uscirne come fossero onde del vicino Lago di Costanza, zuppa e pan bagnato con il Lago Bodanico. Huguette e tanti altri apprezzeranno queste pazzie sciamaniche. I flussi energetici sono ora onde sonore: prima toni bassi, leggeri, poi più alti e più forti. Le “onde” adesso sembrano sfiorare i nostri nasi, qualcuno si sente spruzzato da goccioline di pioggia. Eppure il cielo è serenissimo come la Repubblica di Venezia. Ubbidiamo agli ordini della nostra animatrice. Ci mettiamo seduti, mettiamo le mani a mo’ di ventaglio davanti agli occhi chiusi e dilatiamo gradualmente le dita. Poi togliamo le mani e apriamo gli occhi. Scopriamo l’origine delle “onde” e dei suoni: ossia ciotolone colme di acqua e… veri campanelli tibetani. “Prendete un bastoncino e fatelo girare sul bordo del ciotolone. Se lo fate con cura, la superficie dell’acqua s’increspa, poi l’acqua prende a bollire. Provate!” Anthonia scherza: “Non buttate la pasta, l’acqua è ancora fredda!” Tocchiamo con mano; infatti… Ritorniamo all’albergo. La cena vale la precedente.
Il 18 è previsto un programma fittissimo. Alle 10.00 abbiamo appuntamento con la guida del Castello di Napoleone - sarebbe più giusto definirlo “Villa delle nobildonne Bonaparte” (Hortense e Eugénie). È situato a Arenberg in un parco pubblico, in un promontorio sul lago. Giriamo con pantofolone nelle varie stanze dalle belle tappezzerie. Spesso il soffitto fa pensare a una tenda militare. Notevoli i mobili s/componibili per contenere i capi di abbigliamento fastosi delle signore, i preziosi gioielli, le calzature, i libri, i vasi e quant’altro si portavano dietro nei viaggi. Ingegnoso anche il sistema di riscaldamento generale. Improbabile che vi abbia soggiornato Napoleone I; di sicuro vi fu esiliato Napoleone III, alla fine dell’ultimo impero francese.
La trasferta fino alla Cattedrale di Ittingen (o più propriamente Certosa) è massacrante. Eccola Ittingen, finalmente! Qui ci sfamiamo con gli striminziti panini dell’albergo. Huguette, santa donna, rimedia un paio di birre. Visitiamo chiostro e chiesa. Ci guida un cinquantino che ha vissuto 5 anni a Roma. L’italiano lo balbetta, azzeccando comunque termini appropriati. È così alto che rischia di sbattere con la testa entrando nelle celle dei certosini (lui dice cellule dei monachi). I 14 certosini che vivevano in quest’eremitaggio collettivo non avevano il diritto di parlarsi al di fuori dei dì di festa. Ogni monaco disponeva di un orticello personale in fondo al quale c’era la latrina, tutta per lui. Dall’alto li sorvegliava il priore che era anche membro del capitolo generale dell’ordine. Accanto al suo appartamento c’era lo studio dell’amministratore. All’esterno della cella più grande, ossia la cucina, esisteva un orto collettivo con una ricca varietà di erbe, cespugli e tuberi. A volte succedeva che il numero dei confratelli superasse le quattordici unità per via di coloro che fuggivano dalle lotte intestine tra cattolici e protestanti dei vicini Stati tedeschi.
Rientriamo in albergo, approfittiamo dell’ultimo momento con Anthonia,  dalla quale ci accomiatiamo ad inizio serata, perché deve rientrare  a Locarno per impegni.
Il 19, dopo aver passato buona parte della giornata a Kreuzlingen, con passeggiate in un ombreggiato parco, visita alla Basilica e una puntatina a Costanza, è già ora di rientrare. Per mezzora giriamo in tondo. Si era detto qualcosa sulle fragole, ma nessuno penserebbe andare a raccoglierne sotto la scianca del sole. Però c’è chi ci prova. Rimasto nel pulmino e lontano anche dalla sua badante Radita, paziente come Giobbe, Ivo vorrebbe fotografare i compagni raccoglitori, Livia si intenerisce e gli porge il suo telefonino. Così Ivo potrà scattare qualche foto. Ripartiamo. Prima di San Bernardino incrociamo una fila di automobili più lunga di quella dei blindati russi in Ucraina. Una volta a Giubiasco, baci e abbracci sudaticci.